2018 “anno atipico”

Il 2018 è considerato da moltissime testate giornalistiche come un anno horribilis per i mercati finanziari. Se scomodassimo la semantica, il termine potrebbe essere azzeccato; orribile identifica ciò che provoca orrore, sgomento, spavento e i risparmiatori sembrano, in effetti, spaventati.

Io preferisco definirlo “atipico” per un preciso motivo: l’85% circa degli asset presenti sul mercato registrano performance negative, anche quelli che nel passato si muovevano in modo disomogeneo, decorrelato (se uno cresceva, l’altro scendeva). Atipico perché l’ultima volta che si è verificato un evento simile, era il 1901.

Insomma, mercato azionario, mercato obbligazionario, oro, petrolio… Tutti giù per terra!

Tre sono le principali cause:

  1. Le banche centrali hanno ridotto l’introduzione di nuova liquidità sui mercati mondiali
  2. I dazi commerciali degli Stati Uniti nei confronti degli altri Paesi, la Cina innanzitutto
  3. Il rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve (FED)

Se poi ci aggiungiamo l’instabilità economica e politica dell’Europa, lo scenario del rallentamento è completo.

Quello che preoccupa maggiormente i risparmiatori, e in Italia ancora di più per il grande uso che è stato fatto di questi strumenti, è il mercato obbligazionario. Se la volatilità è caratteristica assodata per i mercati azionari, non è così nota per il mercato dei bond che hanno rappresentato, per un lungo periodo, l’alternativa ai “su e giù” delle azioni.

Complice il recente rialzo dei tassi stiamo assistendo ad un deciso arretramento, in termini di controvalore, dei titoli obbligazionari. I risparmiatori, abituati da sempre a sottoscrivere questi prodotti, non sono abituati a questo scenario e l’emotività rischia di avere il sopravvento nei confronti della razionalità.

La storia come sempre ci viene in aiuto; era il 1994 quando, a seguito del rialzo dei tassi della FED (dopo 6 anni di relativa stabilità), i mercati obbligazionari precipitarono profondamente e chi si fece prendere dal panico perse parte dei propri risparmi. Come sempre accade poi le cose tornarono alla normalità, gli Stati Uniti ripresero a crescere  e con loro anche gli investimenti di coloro che, in quel periodo, tennero i nervi saldi e si armarono di pazienza.

Molti dei clienti o potenziali clienti che incontro in questo periodo, affermano che -“Questa volta è diverso!”- La mia risposta è che gli indici mondiali hanno momenti alternati di ribasso e di rialzo da quando esistono e che i periodi di decrescita sono sempre più brevi dei periodi di crescita.

In momenti come questi, risulta decisivo non prendere decisioni avventate che possano depauperare il valore di ciò che è stato investito.

Avere un professionista competente al proprio fianco permette di pianificare i propri obiettivi con tempi e soluzioni corrette, consente di fare una buona diversificazione e di non compiere scelte sbagliate sulla scia dell’emotività.

Auguro a tutti i lettori uno splendido 2019.

PIC O PAC ?

Nel mondo degli investimenti finanziari, sono due gli acronimi che più ricorrono quando si parla di strategia; il PIC e il PAC.
Per coloro i quali non hanno mai sentito utilizzare questi due acronimi da qualche operatore, è necessario spiegarne il significato.
Il PIC o Piano di Investimento di Capitale, è l’investimento in un’unica soluzione ed è adatto a chi possiede già un patrimonio; l’obiettivo principale di chi investe con questa strategia è l’accrescimento delle somme, il loro mantenimento e, se necessario, la possibilità di ottenere un reddito aggiuntivo attraverso cedole o proventi.
Il PAC o Piano di Accumulo del Capitale, è una strategia che consente di creare un capitale, in un periodo medio-lungo, attraverso l’accantonamento periodico di piccole o grandi somme. L’idea è quella di accantonare nel miglior modo possibile il denaro che, sul conto corrente, rimane inutilizzato ed investire a “piccole dosi” diversificando in tutto il mondo ed in vari strumenti finanziari.
“Insomma… E’ più conveniente investire tutto in una volta sola ed uscire dall’investimento quando si è soddisfatti del risultato oppure, siccome è impossibile entrare sul mercato nel momento perfetto, è meglio investire a rate per diminuire i rischi e mediare i prezzi degli strumenti sottoscritti?”
Sarebbe facile farsi guidare dalle esperienze, e dai consigli altrui, ma analizziamo i numeri, che non mentono mai…
Tenendo conto di un periodo sufficientemente lungo (10 anni) per apprezzarne i risultati, quello che si osserva è, innanzitutto, che la strategia del PAC è molto meno rischiosa e che le probabilità di ottenere buoni risultati sono più elevate. Mentre, con la strategia del PIC, i risultati possono anche essere eccezionali ma avvengono con meno probabilità e sopportando rischi maggiori di mancato rendimento.
Rimanendo sull’analisi, la media dei risultati delle due strategie è molto vicina ma, se capita di entrare in un momento non favorevole, le perdite sui PIC sono molto più accentuate di quelle dei PAC (mediamente il doppio). E se l’ipotesi viene allungata in termini di tempo, 15 o 20 anni, il rischio tende a diventare simile per le due strategie.
Stando attenti ai costi di sottoscrizione e ai costi ricorrenti del piano, la strategia migliore sembra essere il PAC. Consente di investire gradualmente somme anche piccole, di gestire con meno stress eventuali cali di mercato e di ottenere risultati mediamente migliori. E in un momento di grande volatilità come questo, il mio consiglio è di investire con questa strategia.

FUGA DALLE OBBLIGAZIONI…

Risparmiatori italiani in fuga dalle obbligazioni: dove investire soldi in modo sicuro?

Le obbligazioni incarnano l’idea di investimento sicuro e sufficientemente redditizio. Ma da alcuni anni a questa parte i risparmiatori italiani investono sempre meno in obbligazioni. A rivelarlo è proprio l’Indagine 2018 sul Risparmio e sulle scelte delle famiglie italiane condotta dal Centro Studi Einaudi in collaborazione con Banca Intesa.
Secondo i dati dell’indagine, l’appeal verso il mercato obbligazionario non è mai stato così basso come nel 2018. Sono circa 2 su 3, gli intervistati che non hanno né comprato né venduto obbligazioni negli ultimi 12 mesi. Oggi, solo il 23,8% impiega più del 30 per cento della ricchezza finanziaria lorda in bond. E pensare che prima del 2015, questo dato era pari al 36,1%.
Ma perché gli italiani scappano dalle obbligazioni? L’inizio dell’esodo dalle obbligazioni coincide con l’avvio del programma di espansione monetaria della Bce noto con il termine QE. Con l’acquisto forzato dei titoli di stato dell’area euro da parte della Bce, i rendimenti si sono praticamente azzerati.

Quanto rendono le obbligazioni oggi?
In alcuni casi, parliamo delle obbligazioni dei paesi del nord Europa, i tassi di interesse possono essere addirittura negativi. Investire in obbligazioni emesse da questi paesi significa di fatto registrare una perdita certa alla scadenza del titolo.
Prendiamo ad esempio la Germania, i cui rendimenti delle obbligazioni sono oggi negativi fino ad una scadenza di sette anni. Un po’ diverso è il caso dell’Italia, dove i rendimenti sono recentemente cresciuti a causa dei timori politici.

Perché investire in obbligazioni?
Il motivo principale per cui i risparmiatori italiani mostrano un debole per le obbligazioni dipende dalla possibilità di riscuotere cedole periodiche dall’investimento.
Possibilità che, a causa dei bassi rendimenti di oggi, sembra essere preclusa. Al secondo posto c’è la garanzia di ricevere per intero il capitale a scadenza, seguita dalla capacità di impiegare senza pensieri i propri soldi. Le obbligazioni sono inoltre apprezzate dai risparmiatori anche perché il loro valore è stabile e non oscilla come quello delle azioni.

Come investire soldi in modo sicuro?
Le obbligazioni sono considerate uno degli investimenti più sicuri. Le possibilità di fallimento di un emittente, specie se si tratta di un paese, sono infatti abbastanza remote, anche se non nulle.
In passato, ci sono stati casi di paesi e banche che hanno dichiarato il default, provocando perdite ingenti per gli obbligazionisti risparmiatori. Ne sono un esempio i bond argentini (Tango Bond) del 2001, e le obbligazioni subordinate delle banche italiane (Etruria, Marche, Chieti e Ferrara) fallite nel 2015.
Oggi l’investimento diretto obbligazioni, come visto abbiamo prima, non offre più i rendimenti soddisfacenti di un tempo. Per questo motivo moltissima risparmiatori stanno percorrendo la via del risparmio gestito.
Nel 2018, come rileva l’Indagine sul Risparmio, il 15% degli intervistati ha dichiarato di investire una quota tra il 50 ed il 99% di patrimonio in strumenti di risparmio gestito. Un valore mai così alto come oggi.

I risparmiatori affezionati alle obbligazioni, possono oggi trovare opportunità interessanti nei fondi comuni obbligazionari.
Si tratta di grandi contenitori che investono in un ampio ventaglio di obbligazioni, diversificano il rischio e possono offrire rendimenti potenzialmente più alti dei tradizionali parcheggi della liquidità.

BASSA EDUCAZIONE FINANZIARIA E I NOSTRI SOLDI

Ogni giorno ci troviamo davanti a situazioni che hanno a che fare con i nostri soldi: scegliere se consumare oggi o domani, richiedere un prestito o un mutuo, pianificare il proprio futuro previdenziale.
Eppure, numerosi studi e ricerche sul tema dell’educazione finanziaria hanno dimostrato che la maggior parte dei risparmiatori italiani non è in grado di comprendere concetti o prodotti finanziari di base.
Il livello di educazione finanziaria nel nostro paese è molto basso, con valori paragonabili a quelli delle economie in via di sviluppo. L’Italia è penultima in Europa, davanti solo al Portogallo, per tasso di adulti in possesso di conoscenze finanziarie di base (37%). Il confronto si aggrava se si guarda ai paesi del G-20, quali ad esempio Germania (66%) o Canada (68%).
Per i risparmiatori italiani quindi è più difficile effettuare scelte informate e intraprendere azioni efficaci per migliorare il proprio benessere finanziario.
Il costo o l’impatto dell’analfabetismo finanziario può essere visto da diversi punti di vista.
Ho individuato almeno alcuni motivi per cui una bassa educazione finanziaria mette a rischio i tuoi soldi.

1) Perdere opportunità di risparmio e investimento
Non comprendere il significato di concetti di base come inflazione e tasso di interesse ti fa mancare importanti opportunità di risparmio e investimento. I risparmiatori italiani sono soliti tenere la liquidità sul conto corrente (o sotto il materasso per intenderci). Questa “non scelta” si paga a caro prezzo a causa degli effetti deleteri dell’inflazione e del costo-opportunità di un investimento più redditizio.

2) Aumentare le possibilità di andare in bancarotta
Non avere una buona alfabetizzazione finanziaria porta le persone ad indebitarsi di più e in un modo non sostenibile. Ne è un esempio la bolla dei mutui subprime, scoppiata negli Stati Uniti nel 2008, quando un elevatissimo numero di famiglie dichiarò fallimento sui mutui immobiliari che erano stati facilmente concessi dalle banche poco tempo prima.
Oltre a questo, c’è il rischio di imboccare il tunnel del gioco d’azzardo, una patologia che ogni anno fa perdere 96 miliardi di euro agli italiani, senza contare gli annessi costi sociali.

3) Ignorare l’esistenza di strumenti finanziari tax-free
Essere poco informati sulle ultime novità del mondo dei risparmi ti porta ad ignorare l’esistenza strumenti finanziari che offrono interessanti vantaggi fiscali.

4) Pagare di più per prodotti e servizi finanziari
È meglio un tasso fisso o variabile? Non conoscere i vantaggi o gli svantaggi dei tassi di interesse fissi e variabili comporta il rischio di contrarre prestiti a tassi meno vantaggiosi rispetto alla media del mercato.

5) Incapacità di affrontare recessioni economiche e imprevisti
Una carente educazione finanziaria espone le persone ad un maggior rischio di impoverimento durante gli imprevisti della vita o le fasi di recessione economica . Per contro, chi ha una buona educazione finanziaria possiede un’assicurazione o un fondo risparmio dal quale attingere nei momenti del bisogno.

6) Non aver pianificato degli obiettivi di risparmio
Risparmiare per obiettivi aiuta l’investitore a mettere da parte i soldi in modo più efficiente. Numerosi studi condotti sul tema dimostrano che la maggior parte dei risultati negativi in tema di investimenti sono connessi ad una mancanza di chiarezza e concretezza nel fissare gli obiettivi di risparmio.

7) Procrastinare il risparmio per la pensione
Non avere ben chiaro il concetto di tasso di interesse composto conduce l’investitore a procrastinare il risparmio nel futuro. Niente di più sbagliato quando si tratta di risparmiare per la pensione. Iniziando prima infatti il risparmiatore ha più possibilità di far crescere nel tempo il suo capitale, proprio grazie alla forza dell’interesse composto.

IL CONSULENTE FINANZIARIO

Che cosa può fare per me? Quali vantaggi ho ad affidarmi a un consulente finanziario?

Oggi giorno sempre più frequentemente sentiamo parlare di consulenza finanziaria e in particolare della figura del consulente finanziario, spesso però non sappiamo bene chi sia e cosa possa fare per noi.

Partiamo dall’origine. Il consulente, in latino consulentem, è “chi assiste con il consiglio”. L’etimologia della parola ci aiuta sempre a capire nel profondo di cosa stiamo parlando.

Colui che assiste: il consulente ci deve assistere, deve essere il punto di riferimento, il sostegno, l’insegnante paziente e instancabile che ci affianca lungo il nostro cammino (in questo caso finanziario).

Con il consiglio: l’esempio e la parola sono gli strumenti principi di ogni consulente. Il consulente finanziario ispira l’azione del suo assistito con i suoi consigli, ma la decisione e l’azione spettano sempre al cliente.

 

Il consulente finanziario può essere assimilato a una guida, a un maestro di vita (finanziaria), che ci aiuta educandoci ai comportamenti corretti per la nostra salute finanziaria.

I vantaggi ?

Rispondiamo a questa domanda!! …perché alla fine, inutile negarlo, tutti andiamo a vedere l’ultima riga del conto, giusto per capire se ho guadagnato o perso.

Purtroppo o per fortuna quel numero non è la risposta, perché è la domanda a essere sbagliata. Il valore della consulenza finanziaria emerge nel lungo termine, in impostazioni di lungo periodo, non si può misurare in un anno o meno.
In pochi mesi o anni può accadere di tutto e la performance è influenzata da fattori che nulla hanno a che vedere con la bravura del consulente finanziario. Se il mercato tira nel senso a noi propizio, si diventa dei guru, altrimenti degli incapaci. Non è così.

La validità di un buon consiglio matura come il buon vino negli anni. Il tempo, come si suol dire, è galantuomo e ci restituisce negli anni il valore di scelte ben ponderate.

La fiducia nel vostro consulente finanziario vi farà superare i momenti critici del mercato, cogliendone anzi le opportunità, solo se vi avrà spiegato i comportamenti corretti, le logiche dell’investimento, gli obiettivi e la strategia per raggiungerli.

 

LE AGENZIE DI RATING

Le agenzie di rating sono termometri dello stato di salute finanziario di aziende e Paesi. Ma qual è esattamente il loro ruolo e come si emette il rating?

Sentiamo spesso parlare di Moody’s, Fitch, Standard & Poor’s e di come assegnino dei “rating” a Paesi, banche o altre aziende: sono le agenzie di rating. Ma che cosa sono esattamente e qual è il loro ruolo?
Le agenzie di rating sono delle società che hanno il compito di emettere un giudizio sintetico nei confronti di società che emettono titoli finanziari come le obbligazioni, oppure nei confronti di Stati ed enti sovranazionali, o di singoli titoli. Questa valutazione riguarda la solidità finanziaria attuale e prospettica dell’emittente, cioè essenzialmente la sua capacità di pagare le cedole e restituire il capitale ai creditori.
Così facendo le agenzie di rating offrono un servizio agli investitori: chi investe in titoli di Stato o di altre società ha a disposizione un parametro che può dargli un’idea della solvibilità della controparte, e quindi dei rischi legati all’investimento, specialmente nel campo obbligazionario.

In che modo viene espressa la valutazione?

Senza addentrarci nelle piccole differenze di etichetta tra le varie società, il giudizio che esprime l’affidabilità del soggetto analizzato (può essere uno Stato sovrano, una banca o un’azienda), viene espresso con un voto in lettere, che va da A a D. La lettera A, nelle sue varie formule di ripetizione, caratteri maiuscoli o accompagnata da segni matematici, rappresenta il grado maggiore di affidabilità, mentre la lettera D quello minore – “D” indica infatti lo stato di default.

Oltre alle singole lettere, i giudizi delle agenzie di rating vengono divisi in due grandi famiglie: Investment Grade (o High Grade) e Speculative Grade (o High Yield). Con il termine Investment Grade ci si riferisce ad un livello di rischio basso o medio basso, ovvero fino alla notazione BBB- o Baa3; una volta superata questa soglia si entra nel mondo dell’High Yield, ovvero aziende o emissioni obbligazionarie che hanno un rischio di default decisamente più elevato.

Perché il rating è utile?

Il rating aiuta il mercato a stabilire in primis un giudizio sintetico sul soggetto analizzato; questo perché analizza tanti dati, sia quantitativi (dai bilanci a delle statistiche macro di un Paese) sia dati qualitativi (notizie aziendali, reputazione, management, qualità del Governo). Il risultato del giudizio è inversamente proporzionale alla probabilità di default dell’istituto analizzato: un maggior rating equivale a una minore probabilità di default; dal lato degli investitori equivale a richiedere un premio al rischio minore; premio che giustamente aumenta man mano che il rating di questa si fa più basso, in quanto è più rischioso investire. Quando il rischio di insolvenza di un’impresa o di uno Stato aumenta, ad aumentare sarà anche il tasso di interesse richiesto dal mercato per l’investimento, per la teoria del rischio/rendimento, d’altronde chi vorrebbe investire in un’attività più rischiosa senza richiedere una maggiore compensazione?

Quando si emette il rating?

Le agenzie di rating emettono i loro giudizi periodicamente, ma questo avviene sotto richiesta delle aziende, le quali per averlo devono pagare una commissione all’agenzia. Invece, i rating degli Stati Sovrani sono i soli ad essere forniti gratuitamente, in modo “non sollecitato”.

Alcune problematiche

Uno tra i problemi principali sull’affidabilità del rating è l’orizzonte temporale: l’affidabilità del rating rispetto ad uno strumento obbligazionario di una società a 12 mesi (come una cambiale finanziaria o un minibond) è molto diverso dal calcolo del rating per un titolo obbligazionario a 5, 7 o 10 anni, questo perché la quantità di variabili che entra in gioco è molto superiore.
Oltre ad un problema di orizzonte temporale, quando si parla di rating, il conflitto di interessi principale è dietro l’angolo. Basta semplicemente pensare al meccanismo con cui viene attribuito un rating: i soggetti richiedenti il rating, ad esclusione degli Stati Sovrani, sono la maggiore fonte di guadagno delle agenzie stesse. Insomma, le agenzie di rating, anche se si definiscono indipendenti, svolgono molta della loro attività consulenziale per le società che giudicano! Un caso clamoroso fu quello della banca americana Lehman Brothers: il giorno in cui la banca è fallita, il rating delle sue obbligazioni era rimasto a livelli di Investment Grade, segnalando quindi obbligazioni “sicure” e non “speculative”. Sappiamo com’è finita.
Dunque il rating è un indicatore di massima, utile sì, ma che, come tutti gli indicatori, va preso con cautela, anche perché è un indicatore di fatto “ex post”, ossia utilizza gran parte di dati passati per calcolare una situazione futura.

 

MIGLIORA IL RENDIMENTO IN POCHE MOSSE!!

Investendo non puoi mai essere certo del rendimento che otterrai. Ci sono però diverse cose che puoi fare per aumentare le possibilità di avere un buon risultato. Ecco le linee guida che ti possono aiutare a gestire il rischio e a migliorare il potenziale della tua strategia di investimento nel lungo periodo.

Pianifica

Chiarisci bene lo scopo del tuo investimento e il risultato che desideri ottenere per decidere la strategia di investimento più adatta. Ci sono tre domande che devi porti:

a)      Qual è il tuo obiettivo? Potresti voler accumulare 10.000€ per cambiare l’auto oppure costruire un capitale da affiancare alla pensione o semplicemente far fruttare i tuoi risparmi a un tasso migliore rispetto al conto corrente.

b)      Qual è il tuo orizzonte temporale? Potresti voler raggiungere il traguardo dei 10.000€ per cambiare l’automobile nei prossimi due anni, oppure avere a disposizione più di 30 anni per investire con l’obiettivo della pensione.

c)       Quanto rischio puoi sopportare? Gli investitori accettano un rischio maggiore a fronte di un rendimento atteso più elevato, soprattutto se investono su un orizzonte temporale medio/lungo.

Valuta il rischio e il rendimento

In linea di massima, un investimento più rischioso può generare maggiori rendimenti. Viceversa, il rendimento atteso è minore per un investimento a basso rischio. Qualsiasi investimento comporta una quota di rischio, per quanto alle volte nascosa. È però importante stabilire in partenza quanto rischio sei disposto a sopportare e quale rendimento potenziale cerchi, coerentemente con i tuoi obiettivi e orizzonti temporali.

Se è chiaro a tutti cosa si intenda per rendimento, meno evidente è cosa si il rischio. Ci sono diverse misure statistiche che lo identificano. In termini concreti si può pensare al rischio come alla perdita massima potenziale in cui puoi incorrere, oppure alla variabilità dell’andamento dell’investimento.

Diversifica

Scegliere i titoli di una o più società e investirci i tuoi risparmi è un approccio altamente rischioso. Se una azienda in cui sei investito attraversa un brutto momento, l’impatto sui risparmi potrebbe essere micidiale. La recente crisi ci insegna anche le società ritenute più solide possono crollare quasi dall’oggi al domani. Investendo in fondi comuni o ETF accedi, anche con poche centinaia di euro, a un portafoglio diversificato composto da decine o centinaia di titoli. Buona norma è anche non esporti a una sola classe di titoli ma detenere, in una certa misura, azioni e obbligazioni su scadenze diverse.

Ribliancia

Con il tempo, alcuni investimenti vanno meglio di altri, il che aumenta il loro peso relativo nel portafoglio. La tentazione di molti è quella di investire maggiormente in quei titoli che stanno avendo i risultati migliori. La soluzione è invece quella di ribilanciare periodicamente i tuoi investimenti. Scegliendo un fondo a gestione attiva, soprattutto con una strategia value, sono i gestori stessi a prendere profitto sui titoli che hanno avuto i risultati migliori per investire dove si vedono le opportunità migliori.

Fai attenzione ai costi

Nel lungo periodo i costi impattano fortemente sui risultati ottenuti dall’investimento. Una recente ricerca ha dimostrato come la struttura dei costi può contare molto più della precisa asset allocation del portafoglio. Se i rendimenti non sono prevedibili, il costo dell’investimento lo è. È bene quindi adottare un criterio di rapporto qualità/prezzo, come si fa in qualsiasi altro ambito, scegliendo il prodotto e il servizio che forniscono il miglior valore aggiunto al miglior prezzo.

Reinvesti i profitti

Gli investimenti generano dei profitti in diverse circostanze. Si pensi allo stacco dei dividendi su un titolo azionario, o di una cedola, o ancora alla vendita in profitto di un titolo. Reinvestire questi guadagni ti permette di beneficiare dell’effetto degli interessi composti, guadagnando gli interessi sugli interessi, con un forte impatto nel lungo periodo. È possibile reinvestire i profitti in autonomia, scegliendo la destinazione dei proventi, oppure investendo in un fondo ad accumulazione, dove dei gestori professionisti fanno questo lavoro te.

Sii coerente

Una volta impostata una strategia di investimento che tenga conto dei 6 punti citati sopra, mantieni la rotta. Una famosa massima dice che il peggior nemico dell’investitore è se stesso. Resisti alla tentazione di stravolgere la tua strategia solo perché non sta dando risultati nel breve periodo, o è in perdita, o per acquistare i titoli che stanno andando meglio o quelli di cui hai letto sul giornale.

QUANTO MI RENDE? ASPETTATIVE E REALTA’

Quanto mi rende? – È la classica domanda dell’investitore italiano. Peccato che, oltre a non avere quasi mai senso, l’investitore italiano abbia idee vaghissime su quale possa essere una risposta ragionevole. Infatti, secondo l’indagine di Black Rock poco meno del 50% degli italiani ha un’idea di quale livello di rendimento aspettarsi. L’altro 50%, invece, ha aspettative di performance irrealistiche: in media, gli intervistati sarebbero disposti a investire in cambio di un ritorno annuo dell’11%. Fico, l’11% annuo… Devo commentare? Ma sì, commento. Vi dico solo che un portafoglio di azioni diversificato internazionalmente ha reso in termini reali il 5,1% medio annuo dal 1900 al 2016, il suo omologo obbligazionario ha reso l’1,8% e un bilanciato (con ardita operazione aritmetica) il 3,5%. Aggiungete un paio di punti di inflazione e avrete un’idea della distanza interstellare tra aspettative e realtà.

MARCO OGGERO

TASSI D’INTERESSE E BTP

Avete un BTP in portafoglio? Vediamo come si comportano all’aumentare dei tassi…

 

Con la graduale diminuzione degli stimoli monetari e il probabile rialzo graduale dei tassi, i rendimenti delle obbligazioni e lo spread hanno buone probabilità di salire. Preparatevi!

Per un risparmiatore, “prepararsi” significa essere consapevole di ciò che può accadere ai propri investimenti. E così, per aiutarvi a capire, ho preparato una tabella di valutazione dell’impatto dei rialzi dei tassi d’interesse sui BTP.

L’utilizzo della tabella è semplice: a fronte di un dato aumento del rendimento (colonna di sinistra) nelle colonne adiacenti, trovate la corrispondente variazione percentuale del prezzo (cioè l’impatto sulla performance) per vari BTP benchmark, considerando le scadenze normali (cioè 2, 5, 10 e 30 anni).

 

Variazioni di prezzo dei bond (in %) a seguito di shock ai tassi d’interesse

Aumento dei tassi d’interesse BTP 2 anni BTP 5 anni BTP 10 anni BTP 30

anni

0,10% -0,20% -0,50% -0,90% -1,90%
0,25% -0,50% -1,20% -2,30% -4,80%
0,50% -0,90% -2,40% -4,50% -9,50%
0,75% -1,40% -3,60% -6,80% -14,30%
1,00% -1,80% -4,80% -9,10% -19,10%
1,50% -2,70% -7,20% -13,60% -28,60%
2,00% -3,60% -9,50% -18,10% -38,10%

 

Potete verificare immediatamente come un aumento dei tassi d’interesse dell’1% per l’intera curva dei tassi governativi italiani (il cosiddetto shock parallelo), corrisponda a un -1,8% per un BTP a 2 anni e a un -19,1% per un trentennale.

Naturalmente, questa tabellina funziona anche al contrario: se pensate che i tassi scendano dell’1%, non dovete far altro che cercare il risultato corrispondente per il BTP d’interesse e cambiare di segno la performance.

Marco Oggero

DIZIONARIO DEI BOND

I Bond spiegati in 10 punti 

 

Le obbligazioni, in inglese “bond”, sono emissioni di debito per un determinato periodo di tempo al termine del quale il creditore, o compratore del debito, ha diritto alla riscossione del capitale sottoscritto più gli interessi previsti dal contratto (a meno di un default). Sono emessi da società e governi (detti emittenti) per finanziare le proprie esigenze di indebitamento, rifinanziare progetti e investimenti o reperire fondi sul mercato. I proprietari dei bond sono detti obbligazionisti. 

Ecco dieci parole per capire come funzionano le obbligazioni.

Bond senior: Chi possiede questo tipo di bond viene pagato per primo. Il bond subordinato invece viene pagato in subordine.

Bond convertibili: Sono bond che si possono convertire in azioni dell’emittente. In alcuni casi la conversione è obbligatoria (bond convertendo). I bond cum warrant prevedono invece il diritto alla conversione in azioni che però può essere negoziato separatamente dall’azione stessa.

Cedola: È l’interesse che l’emittente paga periodicamente ai propri obbligazionisti. Si chiama cedola perché i primi bond erano muniti di una cedola che si staccava e veniva presentata in banca per avere gli interessi. I bond possono essere a cedola fissa, quando c’è un interesse fisso a scadenze stabilite; indicizzati, quando pagano una cedola variabile che dipende dall’andamento di un indicatore; e senza cedola (o zero coupon).

Corporate bond: L’obbligazione è emessa da una società, quasi sempre una banca o una multinazionale, che si indebita sul mercato.

Minibond: Sono uno strumento di finanziamento per le aziende non quotate in Borsa. Con questo strumento le società possono reperire fondi dagli investitori fornendo in cambio titoli di credito in favore di chi desidera credere nel loro progetto.

Rischio: Le agenzie di rating giudicano la qualità del bond con giudizi che vanno dalla AAA alla D a seconda del grado di rischio cui l’investitore si sottopone. Il rischio è direttamente proporzionale al rendimento, per cui un bond più rischioso attira gli investitori dando cedole più ricche.

Scadenza: Indica la data entro la quale viene riconsegnato all’obbligazionista il proprio capitale iniziale, con l’aggiunta degli interessi. Al netto degli interessi, si parla di valore nominale. 

Supranational bond: Sono i bond emessi da organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale.

Titoli di Stato: Sono i titoli del debito di una nazione che viene quindi finanziata in cambio di un interesse. Un esempio sono i BOT e i BTP italiani. I BOT (Buoni ordinari del tesoro) sono bond a zero coupon di durata inferiore o uguale a 12 mesi emessi dal governo italiano; i BTP (Buoni del Tesoro Poliennale) sono emessi dallo Stati italiano con scadenza superiore all’anno solare.

Valore del bond: Nel caso di un “par bond”, bond alla pari, il valore nominale coincide con il valore di emissione. Se invece l’obbligazione è “sotto la pari”, il prezzo di emissione è inferiore al valore nominale: questi sono detti anche “bond zero coupon” per via delle mancanza di cedole, come i BOT e i CTZ. Si parla di “bond sopra la pari” quando il prezzo di emissione è maggiore del valore nominale

 

  Marco Oggero