Commenti personali da parte dello Studio Oggero

2018 “anno atipico”

Il 2018 è considerato da moltissime testate giornalistiche come un anno horribilis per i mercati finanziari. Se scomodassimo la semantica, il termine potrebbe essere azzeccato; orribile identifica ciò che provoca orrore, sgomento, spavento e i risparmiatori sembrano, in effetti, spaventati.

Io preferisco definirlo “atipico” per un preciso motivo: l’85% circa degli asset presenti sul mercato registrano performance negative, anche quelli che nel passato si muovevano in modo disomogeneo, decorrelato (se uno cresceva, l’altro scendeva). Atipico perché l’ultima volta che si è verificato un evento simile, era il 1901.

Insomma, mercato azionario, mercato obbligazionario, oro, petrolio… Tutti giù per terra!

Tre sono le principali cause:

  1. Le banche centrali hanno ridotto l’introduzione di nuova liquidità sui mercati mondiali
  2. I dazi commerciali degli Stati Uniti nei confronti degli altri Paesi, la Cina innanzitutto
  3. Il rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve (FED)

Se poi ci aggiungiamo l’instabilità economica e politica dell’Europa, lo scenario del rallentamento è completo.

Quello che preoccupa maggiormente i risparmiatori, e in Italia ancora di più per il grande uso che è stato fatto di questi strumenti, è il mercato obbligazionario. Se la volatilità è caratteristica assodata per i mercati azionari, non è così nota per il mercato dei bond che hanno rappresentato, per un lungo periodo, l’alternativa ai “su e giù” delle azioni.

Complice il recente rialzo dei tassi stiamo assistendo ad un deciso arretramento, in termini di controvalore, dei titoli obbligazionari. I risparmiatori, abituati da sempre a sottoscrivere questi prodotti, non sono abituati a questo scenario e l’emotività rischia di avere il sopravvento nei confronti della razionalità.

La storia come sempre ci viene in aiuto; era il 1994 quando, a seguito del rialzo dei tassi della FED (dopo 6 anni di relativa stabilità), i mercati obbligazionari precipitarono profondamente e chi si fece prendere dal panico perse parte dei propri risparmi. Come sempre accade poi le cose tornarono alla normalità, gli Stati Uniti ripresero a crescere  e con loro anche gli investimenti di coloro che, in quel periodo, tennero i nervi saldi e si armarono di pazienza.

Molti dei clienti o potenziali clienti che incontro in questo periodo, affermano che -“Questa volta è diverso!”- La mia risposta è che gli indici mondiali hanno momenti alternati di ribasso e di rialzo da quando esistono e che i periodi di decrescita sono sempre più brevi dei periodi di crescita.

In momenti come questi, risulta decisivo non prendere decisioni avventate che possano depauperare il valore di ciò che è stato investito.

Avere un professionista competente al proprio fianco permette di pianificare i propri obiettivi con tempi e soluzioni corrette, consente di fare una buona diversificazione e di non compiere scelte sbagliate sulla scia dell’emotività.

Auguro a tutti i lettori uno splendido 2019.

IL CONSULENTE FINANZIARIO

Che cosa può fare per me? Quali vantaggi ho ad affidarmi a un consulente finanziario?

Oggi giorno sempre più frequentemente sentiamo parlare di consulenza finanziaria e in particolare della figura del consulente finanziario, spesso però non sappiamo bene chi sia e cosa possa fare per noi.

Partiamo dall’origine. Il consulente, in latino consulentem, è “chi assiste con il consiglio”. L’etimologia della parola ci aiuta sempre a capire nel profondo di cosa stiamo parlando.

Colui che assiste: il consulente ci deve assistere, deve essere il punto di riferimento, il sostegno, l’insegnante paziente e instancabile che ci affianca lungo il nostro cammino (in questo caso finanziario).

Con il consiglio: l’esempio e la parola sono gli strumenti principi di ogni consulente. Il consulente finanziario ispira l’azione del suo assistito con i suoi consigli, ma la decisione e l’azione spettano sempre al cliente.

 

Il consulente finanziario può essere assimilato a una guida, a un maestro di vita (finanziaria), che ci aiuta educandoci ai comportamenti corretti per la nostra salute finanziaria.

I vantaggi ?

Rispondiamo a questa domanda!! …perché alla fine, inutile negarlo, tutti andiamo a vedere l’ultima riga del conto, giusto per capire se ho guadagnato o perso.

Purtroppo o per fortuna quel numero non è la risposta, perché è la domanda a essere sbagliata. Il valore della consulenza finanziaria emerge nel lungo termine, in impostazioni di lungo periodo, non si può misurare in un anno o meno.
In pochi mesi o anni può accadere di tutto e la performance è influenzata da fattori che nulla hanno a che vedere con la bravura del consulente finanziario. Se il mercato tira nel senso a noi propizio, si diventa dei guru, altrimenti degli incapaci. Non è così.

La validità di un buon consiglio matura come il buon vino negli anni. Il tempo, come si suol dire, è galantuomo e ci restituisce negli anni il valore di scelte ben ponderate.

La fiducia nel vostro consulente finanziario vi farà superare i momenti critici del mercato, cogliendone anzi le opportunità, solo se vi avrà spiegato i comportamenti corretti, le logiche dell’investimento, gli obiettivi e la strategia per raggiungerli.

 

LE AGENZIE DI RATING

Le agenzie di rating sono termometri dello stato di salute finanziario di aziende e Paesi. Ma qual è esattamente il loro ruolo e come si emette il rating?

Sentiamo spesso parlare di Moody’s, Fitch, Standard & Poor’s e di come assegnino dei “rating” a Paesi, banche o altre aziende: sono le agenzie di rating. Ma che cosa sono esattamente e qual è il loro ruolo?
Le agenzie di rating sono delle società che hanno il compito di emettere un giudizio sintetico nei confronti di società che emettono titoli finanziari come le obbligazioni, oppure nei confronti di Stati ed enti sovranazionali, o di singoli titoli. Questa valutazione riguarda la solidità finanziaria attuale e prospettica dell’emittente, cioè essenzialmente la sua capacità di pagare le cedole e restituire il capitale ai creditori.
Così facendo le agenzie di rating offrono un servizio agli investitori: chi investe in titoli di Stato o di altre società ha a disposizione un parametro che può dargli un’idea della solvibilità della controparte, e quindi dei rischi legati all’investimento, specialmente nel campo obbligazionario.

In che modo viene espressa la valutazione?

Senza addentrarci nelle piccole differenze di etichetta tra le varie società, il giudizio che esprime l’affidabilità del soggetto analizzato (può essere uno Stato sovrano, una banca o un’azienda), viene espresso con un voto in lettere, che va da A a D. La lettera A, nelle sue varie formule di ripetizione, caratteri maiuscoli o accompagnata da segni matematici, rappresenta il grado maggiore di affidabilità, mentre la lettera D quello minore – “D” indica infatti lo stato di default.

Oltre alle singole lettere, i giudizi delle agenzie di rating vengono divisi in due grandi famiglie: Investment Grade (o High Grade) e Speculative Grade (o High Yield). Con il termine Investment Grade ci si riferisce ad un livello di rischio basso o medio basso, ovvero fino alla notazione BBB- o Baa3; una volta superata questa soglia si entra nel mondo dell’High Yield, ovvero aziende o emissioni obbligazionarie che hanno un rischio di default decisamente più elevato.

Perché il rating è utile?

Il rating aiuta il mercato a stabilire in primis un giudizio sintetico sul soggetto analizzato; questo perché analizza tanti dati, sia quantitativi (dai bilanci a delle statistiche macro di un Paese) sia dati qualitativi (notizie aziendali, reputazione, management, qualità del Governo). Il risultato del giudizio è inversamente proporzionale alla probabilità di default dell’istituto analizzato: un maggior rating equivale a una minore probabilità di default; dal lato degli investitori equivale a richiedere un premio al rischio minore; premio che giustamente aumenta man mano che il rating di questa si fa più basso, in quanto è più rischioso investire. Quando il rischio di insolvenza di un’impresa o di uno Stato aumenta, ad aumentare sarà anche il tasso di interesse richiesto dal mercato per l’investimento, per la teoria del rischio/rendimento, d’altronde chi vorrebbe investire in un’attività più rischiosa senza richiedere una maggiore compensazione?

Quando si emette il rating?

Le agenzie di rating emettono i loro giudizi periodicamente, ma questo avviene sotto richiesta delle aziende, le quali per averlo devono pagare una commissione all’agenzia. Invece, i rating degli Stati Sovrani sono i soli ad essere forniti gratuitamente, in modo “non sollecitato”.

Alcune problematiche

Uno tra i problemi principali sull’affidabilità del rating è l’orizzonte temporale: l’affidabilità del rating rispetto ad uno strumento obbligazionario di una società a 12 mesi (come una cambiale finanziaria o un minibond) è molto diverso dal calcolo del rating per un titolo obbligazionario a 5, 7 o 10 anni, questo perché la quantità di variabili che entra in gioco è molto superiore.
Oltre ad un problema di orizzonte temporale, quando si parla di rating, il conflitto di interessi principale è dietro l’angolo. Basta semplicemente pensare al meccanismo con cui viene attribuito un rating: i soggetti richiedenti il rating, ad esclusione degli Stati Sovrani, sono la maggiore fonte di guadagno delle agenzie stesse. Insomma, le agenzie di rating, anche se si definiscono indipendenti, svolgono molta della loro attività consulenziale per le società che giudicano! Un caso clamoroso fu quello della banca americana Lehman Brothers: il giorno in cui la banca è fallita, il rating delle sue obbligazioni era rimasto a livelli di Investment Grade, segnalando quindi obbligazioni “sicure” e non “speculative”. Sappiamo com’è finita.
Dunque il rating è un indicatore di massima, utile sì, ma che, come tutti gli indicatori, va preso con cautela, anche perché è un indicatore di fatto “ex post”, ossia utilizza gran parte di dati passati per calcolare una situazione futura.

 

QUANTO MI RENDE? ASPETTATIVE E REALTA’

Quanto mi rende? – È la classica domanda dell’investitore italiano. Peccato che, oltre a non avere quasi mai senso, l’investitore italiano abbia idee vaghissime su quale possa essere una risposta ragionevole. Infatti, secondo l’indagine di Black Rock poco meno del 50% degli italiani ha un’idea di quale livello di rendimento aspettarsi. L’altro 50%, invece, ha aspettative di performance irrealistiche: in media, gli intervistati sarebbero disposti a investire in cambio di un ritorno annuo dell’11%. Fico, l’11% annuo… Devo commentare? Ma sì, commento. Vi dico solo che un portafoglio di azioni diversificato internazionalmente ha reso in termini reali il 5,1% medio annuo dal 1900 al 2016, il suo omologo obbligazionario ha reso l’1,8% e un bilanciato (con ardita operazione aritmetica) il 3,5%. Aggiungete un paio di punti di inflazione e avrete un’idea della distanza interstellare tra aspettative e realtà.

MARCO OGGERO

PRIMA REGOLA “DIVERSIFICAZIONE”

 

 

Gli italiani sono un popolo di risparmiatori. Sin da piccoli siamo stati abituati a mettere da parte i piccoli risparmi nei nostri salvadanai ma quando arriva il momento di investire molti di noi o lo evitano oppure lo fanno in modo errato. Infatti, concetti come la diversificazione, rischio o la relazione tra rischio e rendimento oltre a non noti ad alcuni sono, a volte, intenzionalmente ignorati e i nostri investimenti ne pagano le conseguenze.

Secondo un recente sondaggio condotto da Eurisko, l’83% degli investitori italiani afferma di avere come obiettivo d’investimento il capitale garantito e di voler assumere rischi pari a zero anche a costo di ritorni bassi o bassissimi. Tuttavia, pochi tengono in considerazione che accumulare troppa liquidità significa perdere opportunità importanti che farebbero fruttare i nostri risparmi, compromettendo così i principali obiettivi che ognuno si prefigge (la pensione, la casa, i figli ecc).

Non è un caso che il 6.5% degli intervistati confessi di tenere i propri risparmi principalmente in banca. Solo il 9% afferma di avvalersi di un consulente per pianificare i propri obiettivi finanziari, mentre il 37% fa ancora uso del “passaparola” di amici e conoscenti. Da questi dati si evidenzia una delle gravi debolezze degli italiani, più propensi a gestire da soli la propria ricchezza, esponendosi così a maggiori probabilità di errore, anziché rivolgersi a operatori professionali che hanno esperienza e informazioni adatte per investire. In mancanza di una solida cultura finanziaria, come nel caso nostro, l’uso del fai-da-te comporta notevoli rischi: mancanza di una corretta diversificazione dei titoli in portafoglio, non riuscire a capire i tempi di ingresso e uscita dall’investimento ecc.

A proposito dell’importanza della diversificazione, numerosi studi hanno dimostrato che il contributo al rendimento di una corretta allocazione di portafoglio può arrivare a pesare fino all’ 80%-90% del risultato finale del proprio investimento, tuttavia costruire da sé un portafoglio d’investimento in modo corretto non è certamente un’impresa facile.

Il grande vantaggio è unire i benefici della diversificazione dei fondi comuni e l’abbattimento dei costi della consulenza. I fondi comuni permettono anche a un investimento contenuto di poter trarre gli stessi benefici sopra citati, senza fare discriminazioni tra i sottoscrittori.

A tale proposito, una delle regole basilari dell’allocazione del risparmio “non mettere tutte le uova nello stesso paniere”dovrebbe essere chiara e alla portata di tutti. Eppure, la diversificazione di portafoglio è un concetto correttamente interpretato soltanto dal 6% dei risparmiatori italiani, come testimonia il recente studio Consob. Con diversificazione si intende ripartire il capitale in tanti strumenti finanziari che sono poco o negativamente correlati tara di loro. I risparmi delle famiglie italiane sono ancora oggi pilotati da vecchie consuetudini secondo le quali l’investimento nel mattone o in titoli di Stato rappresentino una delle migliori occasioni d’investimento.

Ad allarmare però ancor di più sono i casi in cui la ridotta diversificazione è addirittura adottata volontariamente sulla base di alcuni bias di finanza comportamentale. Uno di questi è il cosiddetto domestic (o home) bias, secondo il quale il portafoglio d’investimento si caratterizza per una massiccia presenza di attività finanziarie del Paese d’origine dell’investitore. Le ragioni legate a questo comportamento sono il maggiore controllo o la migliore capacità di interpretazione delle notizie, ma tutto ciò non è direttamente riconducibile ad un effettivo miglioramento del profilo rischio/rendimento del proprio portafoglio che viene in realtà notevolmente esposto alle incognite del Paese.

Pertanto, parola d’ordine diversificare, diversificare!!

 

Pignoramento conto corrente dal 1° luglio 2017 senza giudice…

 

Pignoramento conto corrente: dal 1° luglio 2017 possibile senza alcun procedimento giudiziario.

A seguito dell’abolizione di Equitalia ed il conseguente passaggio della riscossione alla nuova Agenzia delle Entrate- Riscossione, aumenteranno i poteri del nuovo agente della riscossione, e ciò avverrà proprio a partire dal 1° luglio.

Dal 1° luglio 2017, quindi, il nuovo ente, avrà facoltà di accedere a diverse banche dati, molto feconde come lo può essere quella dell’Inps, e potrà procedere al pignoramento dei conti correnti, in modo diretto senza dover richiedere l’apposita autorizzazione al giudice.

Ciò non è di per sé una novità, visto che già oggi è consentito in presenza di debiti fiscali, cartelle esattoriali, di attivare il pignoramento senza procedimento giudiziario ma dal 1° luglio, questa procedura sarà molto più veloce e le somme pignorate sul conto corrente, saranno immediatamente bloccate e rigirate al Fisco, per gli importi a debito.

Vediamo quindi nello specifico cosa e come potrebbe cambiare la procedura di pignoramento del conto corrente 2017 a partire dal 1° luglio.

 

Dal 1° luglio 2017: cosa cambia?

1° luglio 2017: perché è una data importante? Perché a partire da questo giorno, entrano in vigore le disposizioni del decreto fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2017, il famoso D. L. 193/2016 successivamente convertito nella Legge 225/2016, e che prevedono due importantissime novità:

A partire quindi dal 1° luglio, Equitalia sparisce come agente della riscossione nazionale e al suo posto arriva il nuovo ente sotto la vigilanza ed il controllo dell’Agenzia, ivi compreso, ed è qui che si fa ancora più dura per gli evasori e per i debitori, l’accesso all’immensità dei dati dell’Anagrafe Tributaria.

Ed è tale possibilità, a consentire, a partire dal 1° luglio, il pignoramento dei conti corrente direttamente senza bisogno di attivare la procedura di autorizzazione di un Giudice.

Ma questa è solo la punta dell’iceberg, perché l’AdE-Riscossione, potrà accedere anche alla banca dati dell’INPS, ottenere le informazioni che le servono come ad esempio i dati relativi al rapporto di lavoro e procedere a pignorare lo stipendio, la pensione, le indennità ecc.

 

 

 

 

 

Se stai cercando un consulente finanziario

Ci troviamo in un periodo di profonda trasformazione per il settore bancario, e non mi riferisco solo alla sicurezza (BAIL-IN), ma di tutto il sistema

Scelte e abitudini di investimento degli italiani

Gli ultimi anni sono stati interessanti per quanto riguarda l’evoluzione delle abitudini di investimento e risparmio degli italiani

Punti di vista

Vediamo la crisi delle banche in questo modo